lunedì 9 marzo 2015

La decrescita felice

In questi anni ho sentito spesso parlare della decrescita felice. Da quello che mi è stato spiegato, se ho capito bene, per realizzarla occorrerebbe ridurre l'orario di lavoro e di conseguenza il proprio stipendio avendo però il vantaggio di poter produrre da se alcuni beni, quindi risparmiare sull'acquisto di articoli che prima invece si doveva acquistare per mancanza di tempo (es. il pane, lo yogurt, vari prodotti agricoli, etc. etc).

Così come l'ho capita io non penso che questa strada possa essere considerata una politica economica, ma le mie opinioni non valgono, ovviamente, più di quelle di tanti altri e non posso escludere il fatto che l'autoconsumo possa un giorno diventare una realtà diffusa della nostra società. Intendiamoci, sono sensibile anch'io ai temi ecologici, e non penso affatto che questo pianeta vada distrutto in nome del consumo. Tuttavia, chi si lamenta della crescita senza fine del PIL, forse dimentica che la produzione non è solo quella industriale. Il PIL non è composto solo da macchine inquinanti, o dal disboscamento delle foreste, esistono anche i servizi. Inoltre, l'avanzamento tecnologico dovrebbe servire proprio a rendere meno dannosi per l'ambiente alcuni processi produttivi.

Niente di male a fare delle leggi che in qualche modo orientino le scelte degli investitori, e degli imprenditori, verso un'economia più sostenibile nel lungo periodo. Ma nonostante tutte le giuste critiche che il nostro sistema economico merita, anche a causa dell'eccessiva specializzazione del lavoro, credo che la volontà di sostituirlo con un sistema improntato sull'autoproduzione non sia un'idea lungimirante. Escludendo dal giudizio, ovviamente, qualsiasi tipo di sacrosanta scelta personale. e quindi per sua natura non sistemica.

C'è poi una certa somiglianza tra il concetto di  decrescita felice e quello di austerità. Infatti, quello che essa propone in concreto è il risparmio, cioè la stessa cosa che accomuna qualsiasi politica di riduzione dei consumi (come quella in atto). E' per questo che una parte di coloro i quali sono a favore della decrescita felice non capiscono il problema dell'euro, e ammoniscono contro l'uscita dalla moneta unica, in quanto renderebbe più facile l'aumento della spesa pubblica ai nostri governanti (e quindi l'aumento della domanda interna).

Queste persone sostengono che l'uscita dall'euro provocherebbe l'aumento spropositato dell'indebitamento, pubblico naturalmente, perché essi concentrano le loro analisi solo su quello, dimenticando che esiste anche il debito privato (che in questi anni è cresciuto parecchio). A loro dire il politico, nel tentativo di accaparrarsi voti, sarebbe portato a spendere, e gli elettori gli andrebbero dietro perché penserebbero solo al loro vantaggio nel breve periodo. Perché, secondo loro, la gente comune (cioè io, o tu che stai leggendo) non siamo in grado di comprendere le conseguenze dello spreco in un orizzonte temporale più ampio.

Ora, a parte il fatto che per tutto il tempo in cui il popolo italiano si è governato da solo, senza il guinzaglio imposto dall'euro, il debito pubblico è esploso solo perché un ministro ha deciso dal 1981 di vendere i titoli dello stato ai tassi più alti, decisi dal mercato (vedi divorzio della Banca d'Italia). Poi, la spesa pubblica sarebbe sotto controllo almeno dal 1991, anno in cui abbiamo realizzato per la prima volta l'avanzo primario, ovvero le entrate meno spese, senza considerare i costi per gli interessi sul debito pubblico che purtroppo erano alti proprio a causa di quanto detto sopra riguardo al "Divorzio". Quindi, non è che queste previsioni catastrofiche sulla spesa pubblica siano poi così fondate.

Tutto questo ci porta al nocciolo della questione.

La strada della decrescita felice sarebbe preclusa tornando alla lira? Se così fosse, non sto implicitamente ammettendo che non sarebbe la scelta della maggioranza degli italiani? E allora, se io gliela impongo tramite l'euro, non sto adoperando esattamente lo stesso sistema di chi è convinto di fare il nostro bene solo quando è lui a scegliere per noi? Non sto pertanto affermando che gli italiani non sono in grado di decidere da soli e che debbano perciò essere indirizzati da un'élite di illuminati? Allora, mi spiegate che differenza c'è tra questa gente e quella del Bilderberg, della Trilateral Commission, del Council of Foreign Relations, e della Troika?
 


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