lunedì 6 giugno 2016

Economisti che avevano previsto il disastro dell'euro: quinto episodio (Frank Hahn)

Con questo post si arricchisce il ciclo sugli economisti che, in tempi non sospetti, avevano previsto le amare conseguenze dell'euro. Per leggere le precedenti quattro puntate cliccate sui seguenti collegamenti: I - II - III - IV.

Lo scopo di queste testimonianze è, come sempre, quello di dimostrare che la crisi in cui ci troviamo, causata dall'euro, non è affatto imprevista, o provocata da eventi eccezionali, ma che gli effetti dell'adozione di una moneta unica erano ben noti agli addetti ai lavori già prima che questo progetto vedesse la luce.

La quinta evidenza che porto alla vostra attenzione per dimostrarvelo è l'intervista che, nel 1992, il giornalista Mario Pirani fece al prestigioso economista britannico dell'università di Cambridge Frank Hahn. L'articolo, intitolato "Con la moneta unica avremo più disoccupati"è ancora oggi disponibile on-line nell'archivio storico del giornale La Repubblica.

Il Prof. Hahn comincia affermando che, in effetti, non si può considerare l'economia come una vera scienza: "Ho sempre creduto che la teoria economica avesse molta strada da fare per arrivare soltanto a metà cammino verso la cosiddetta scientificità". Fino a questo punto nulla di particolarmente eccitante. Anzi, queste modeste parole di un importante uomo di scienza, estrapolate dal loro contesto, daranno sicuramente modo a chi, non provando alcun vero interesse per l'economia, vorrebbe semplicemente evitare di considerare seriamente le teorie degli economisti. In questo senso, poter dire che l'economia non è una scienza è la massima aspirazione per chi pretende di parlare liberamente di questo argomento, senza peraltro volerlo studiare.

Il punto interessante però è che, nonostante l'intervistato ammetta tranquillamente i limiti delle teorie economiche, alla domanda specifica sull'euro risponde così: "Ho tenuto qualche tempo fa una lezione alla Banca d'Italia dove ho spiegato, dal punto di vista teorico, perché l'unione monetaria va contro quasi tutto quello che sappiamo di economia".

Il professore di Cambridge, che aveva già allora le idee chiarissime sull'argomento, prosegue: "C'è una teoria dell'area monetaria ottimale in cui si dice che la mobilità dei fattori della produzione è cruciale per il raggiungimento degli equilibri [...]. Ora, la mobilità del lavoro è abbastanza elevata tra Inghilterra e Scozia, ma non altrettanto in Europa, per differenze culturali, di lingua, di costumi sociali e, quindi, fissare i tassi di cambio non è una buona idea".

La previsione dell'economista di Cambridge è la seguente: "Con l'unione monetaria, invece delle fluttuazioni del cambio si avranno fluttuazioni nel tasso di disoccupazione".

A questo punto, la domanda che mi sento rivolgere spesso è: "perché hanno fatto tutto questo pur sapendo che non avrebbe funzionato?". Non è che io non voglia rispondere a questa legittima curiosità. Il punto però è che, molto spesso, chi me la rivolge pensa di poter mettere in dubbio il fatto stesso che l'euro abbia causato la crisi in Europa, solo sulla base del proprio giudizio sul mio parere personale, riguardo al motivo per cui esso sia stato comunque adottato. In breve, se quello che rispondo alla sua "domanda a trabocchetto" gli sembra lievemente "complottista" o "politicamente orientato" lui (o lei) si sentono legittimati, nonostante tutto, ad archiviare la questione. Questo è il classico "salvagente" che aiuta la psiche umana a rimanere nella propria area di comfort. Quello che invece una discussione seria dovrebbe evidenziare è che, qualunque sia il giudizio storico sui motivi politici che hanno portato all'euro, rimane indubbio il fatto che si sapesse già da prima che esso avrebbe provocato le conseguenze che oggi viviamo sulla nostra pelle. Vi ricordate la profezia di Prodi? "Sono sicuro che l'euro ci obbligherà a introdurre un nuovo set di strumenti di politica economica. E' politicamente impossibile proporre ciò ora. Ma un giorno ci sarà una crisi e nuovi strumenti saranno creati" (Romano Prodi, The Wall Street Journal 31 ottobre 2001")

Comunque, se proprio volete una risposta alla vostra domanda sul perché tutto questo è stato fatto, nella stessa intervista Frank Hahn fornisce il suo parere:  "Il vero motivo per sostenere i cambi fissi è, in effetti, il controllo della classe lavoratrice. Infatti, fintanto che i governi non creano un meccanismo che leghi loro le mani, non è possibile contenere l'inflazione salariale. Credo che i sostenitori del cambio fisso vogliano introdurlo solamente per la paura dell'inflazione e, poiché di questi tempi siamo nelle mani dei banchieri centrali, per i quali il grande nemico è l'inflazione più che la disoccupazione, questa scelta si spiega".










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